Federico Capeci è autore del libro “Generazioni. Chi siamo, che cosa vogliamo, come possiamo dialogare” – FrancoAngeli Ed.
L’accelerazione della digitalizzazione che il Covid-19 ha portato con sé in questo ultimo anno, ha arricchito il dibattito sul fenomeno del “reverse mentoring”, ovvero di quella tendenza per la quale i giovani, meno esperti nella vita ma più competenti in termini di digitalizzazione, aiutano i senior, con maggiore esperienza ma meno avvezzi al mondo digitale, a familiarizzare con la tecnologia, in uno scambio che si rivela proficuo per entrambi.
Un concetto applicabile a molti aspetti del vivere quotidiano: dal lavoro ai consumi, passando per le dinamiche familiari.
Pensiamo per esempio a tutta l’industria culturale, cinematografica, televisiva la cui fruizione segue regole completamente invertite rispetto a solo pochi anni fa. Oggi il fiorire di nuove piattaforme come Netflix e Amazon prime, insieme alle molteplici emittenti di contenuto che fioriscono a suon di influencer dai vari Social Media, scardinano le modalità classiche di produzione, diffusione e fruizione dei contenuti video (e non solo): prima il “volto” televisivo, la “voce” radiofonica, la “firma” dei quotidiani erano il punto di partenza imprescindibile per il successo; oggi sono le modalità di fruizione, le piattaforme con la loro unica experience, ad attrarre nuove audience in un ambiente che successivamente tiene attaccati gli utenti su contenuti fruiti in modalità snack, personalizzata e dinamica. In questa frizione tra vecchio e nuovo, chi conduce?
INNOVAZIONE NON È SOLO DIMESTICHEZZA DIGITALE
Oggi le cose sono cambiate, e questo è innegabile. C’è però una convinzione che va scardinata. Spesso, infatti, viene fatto passare il messaggio che l’innovazione (soprattutto tecnologica) sia appannaggio dei giovani che ne sono protagonisti, fautori e rappresentanti, come se il progresso innovativo sia sinonimo solo di dimestichezza digitale.
Dall’altro canto, tuttavia, la capacità di utilizzo di piattaforme digitali non sempre coincide con una forte consapevolezza di come l’io digitale funzioni e di dove possa portare: il digitale può essere interpretato da diverse fasce di popolazione in modo differente, aiutando ciascuno ad ampliare le proprie opportunità, a prescindere dalla generazione cui si appartiene, nella vita quotidiana, nella fruizione dei servizi come nella scelta della fruizione dei consumi.
Una volta superata la barriera iniziale della conoscenza (la litteracy), si possono aprire diverse modalità di utilizzo e quindi di trasformazione ed evoluzione dell’attuale.
2. IL DIVARIO GENERAZIONALE
Non c’è infatti una chiusura mentale a priori di alcune generazioni rispetto ad altre, relativamente all’innovazione. Esistono approcci diversi che però devono essere guardati con un occhio analitico non superficiale, che parta dai valori e dalle attitudini di ciascuno e non dalle dotazioni.
I boomers ad esempio, che sono cresciuti in epoca di grandi trasformazioni culturali e di l rivoluzioni, continuano ad avere una mentalità molto aperta sui processi di innovazione e sono molto orientati al cambiamento. Non hanno forse una grande dimestichezza tecnologica ma sono coraggiosi, e per loro il cambiamento rappresenta qualcosa di positivo.
Questo senso di “futuro che sarà migliore del passato”, per esempio, i Millennial (25-34 anni) non lo hanno, perché cresciuti in anni di maggiore negatività, di crisi economiche, ambientali, di pandemia. Al contrario, la Generazione X (35-54 anni) proprio per il contesto in cui è cresciuta,, ha nel sangue l’ambizione e la progettazione orientata al raggiungimento degli obiettivi. Poi c’è la Generazione Z, concreta, competente, forse troppo seriosa rispetto all’età (15-24 anni), ha da parte sua l’urgenza del cambiamento e l’attivismo: in questo è molto più in sintonia con i boomer.
Lo dimostrano da vicino la solidarietà tra giovanissimi e anziani sul tema dei consumi sostenibili e più in generale della tutela dell’ambiente, che li vede spesso schierati insieme verso gli stessi risultati, pur con prospettive differenti. Per gli anziani si tratta di una tensione verso il futuro, per i giovani un’urgenza da risolvere per il presente.
LA GEN Z E LE BUONE SPERANZE
Ecco dunque che stiamo vivendo una situazione di interrelazione generazionale molto interessante ai fini sociali, in cui quello che cambia con il variare delle generazioni è la percezione temporale dell’obiettivo da raggiungere.
I gruppi sociali più adulti tendono a percepire i problemi nel lungo periodo e ne spostano la risoluzione nel tempo. Hanno un approccio più concettuale e spirituale, mosso da un driver etico. Per loro il consumo sostenibile è un paradigma di comportamento giusto, eticamente corretto, necessario a proteggere il futuro dei loro figli e dei loro nipoti.
I più giovani, invece, appartenenti alla generazione dei Post Millennial, hanno un approccio diverso. Non hanno tra le loro priorità il futuro, ma il presente. Si rendono conto che oggi accadono certi fenomeni a causa di comportamenti non sostenibili tenuti in passato. E proprio il tema della sostenibilità ha per loro un senso di urgenza che li spinge a un attivismo più forte rispetto a quello che muove, per esempio, la Generazione X. E questo fa ben sperare.