realize agos logo 2020 color
  • 2 Maggio 2024
  • Ultimo aggiornamento 29 Aprile 2024 18:39
  • Milano

La birra e la drinkflation: perché c’entra con i consumatori

In Gran Bretagna è esploso il fenomeno: birre meno alcoliche a prezzi invariati. Obiettivo: risparmiare sui costi di produzione. E il consumatore spesso non se ne accorge

La birra e la drinkflation: perché c’entra con i consumatori

L’inflazione è un fenomeno che i consumatori hanno imparato a conoscere molto bene negli ultimi anni, inclusi gli under 40 che non ne avevano mai fatto esperienza prima. Anche se secondo l’Istat a giugno c’è stato un rallentamento nell’aumento dei prezzi, innescato dalla pandemia di Covid-19 prima e dal conflitto in Ucraina poi, le aziende continuano ad applicare diverse strategie per fronteggiarlo.

Tutto, oggi, costa di più: l’energia necessaria alla produzione dei prodotti, le materie prime, gli imballaggi, la logistica.
Uno dei fenomeni in cui i consumatori si sono imbattuti sempre più spesso è la shrinkflation, strategia di mercato che consiste nel ridurre le quantità di prodotto presenti nelle confezioni (o le sue dimensioni) senza diminuirne il costo. In parole povere, meno prodotto a parità di prezzo.

LEGGI QUI: Cos’è la shrinkflation

Questa pratica (talmente diffusa da aver spinto l’Antitrust a indagare) ha colpito praticamente tutti i settori, incluso quello dei gelati confezionati: in questa caldissima estate, i consumatori li pagheranno fino al 227% in più rispetto al 2001.

Ogni fenomeno, si sa, ha le sue declinazioni. Una di quelle che ultimamente ha sollevato più dibattito e preoccupazione tra i consumatori nel Regno Unito è la drinkflation, o meglio ancora beerflation: birre meno alcoliche a prezzi invariati.

Secondo uno studio recente citato da The Conversation, ridurre dello 0,3% la gradazione alcolica della birra consente ai produttori di risparmiare circa 4 penny per pinta e mantenere alti i profitti.

PERCHÈ IN GRAN BRETAGNA SI PUO' FARE

Sebbene possa sembrare un fenomeno nuovo, la drinkflation in realtà risale a oltre un decennio fa. L’azienda Molson Coors, per esempio, ha ridotto la gradazione alcolica della sua birra Carling dal 4% al 3,7% continuando a commercializzarla come una birra al 4%.

Come è stato possibile? Grazie alla flessibilità delle leggi britanniche che regolamentano le etichette degli alcolici: esiste l’obbligo di indicare la gradazione alcolica di una bevanda se superiore all’1,2%, ma è previsto un margine di tolleranza dello 0,5% (di cui beneficiano soprattutto i piccoli produttori, che difficilmente riescono a mantenere costante la gradazione alcolica a livello produttivo). Questo episodio ha sollevato interrogativi sull’effettiva corrispondenza tra le informazioni riportate sull’etichetta e la realtà.

I produttori inglesi affermano che ridurre la gradazione delle bevande alcoliche è necessario per far fronte all’aumento dei costi di produzione e alla pressione sui margini di profitto. Tuttavia, vi è preoccupazione che questa tendenza, complici le nuove imposte e le maggiori difficoltà nei commerci con l’Europa dovute alla Brexit, metta a rischio uno dei simboli più amati del Regno Unito: in un paese in cui si consumano circa 7,8 miliardi di pinte di birra all’anno, si tratta quindi di un notevole risparmio per l’industria (per fare un paragone, secondo l’Annual Report 2022 di Assobirra in Italia l’anno scorso sono stati consumati 22,3 milioni di ettolitri di birra e la nostra produzione nazionale è cresciuta del 3,3%, generando un valore di 9,4 miliardi di euro, pari allo 0,53% del PIL).

INTERESSI COMMERCIALI E CAMBIAMENTI STRUTTURALI

Gli interessi commerciali dei produttori di birra sembrano in realtà allinearsi con alcuni cambiamenti strutturali nelle abitudini dei consumatori inglesi, che hanno un impatto sul settore delle bevande alcoliche: il consumo di birra diminuisce in maniera costante, anche perché i giovani consumano meno alcol rispetto al passato, e sempre più persone (in particolare i più anziani) per ragioni economiche preferiscono bere a casa anziché frequentare i pub dato che acquistare birra al supermercato e consumarla a casa è meno costoso.

Questi elementi, combinandosi, stanno portando a una diminuzione complessiva del consumo di alcol: nel Regno Unito frequentare i pub resta comunque anche un rituale sociale, ma si potrebbe interpretare questa tendenza anche in chiave positiva poiché comporta potenziali benefici per la salute pubblica e la sostenibilità. Alla salute di tutti.

Articoli Correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *