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  • 28 Marzo 2024
  • Ultimo aggiornamento 28 Marzo 2024 09:13
  • Milano

Mobilità urbana: chi è l’urbanista multimodale

Passa con semplicità da un microveicolo all’altro alla ricerca di agilità ed efficienza. Edoardo Lozza esperto di Psicologia dei consumi, ci fa conoscere meglio questo nuovo consumatore

Mobilità urbana: chi è l’urbanista multimodale

Un nuovo atteggiamento nei confronti della mobilità presuppone la nascita di un tipo di consumatore evoluto, per molti aspetti inedito nel modo di pensare, agire e acquistare.

I segnali evidenti di questo cambiamento sono stati evidenziati dal McKinsey Center for Future Mobility (ve ne abbiamo parlato qui) che mettendo a sistema i risultati di suoi recenti studi, ha posto l’accento sulla nascita di nuovi utenti, fra cui l’urbanista multimodale, una sorta di appassionato di micromobilità che si diverte a sfrecciare per la città su piccoli veicoli come e-bike e scooter elettrici oppure su monopattini.

La sua caratterista principale consiste nella capacità di passare da un mezzo all’altro in base alle specifiche esigenze di spostamento sulla base di variabili che vanno dalla distanza da percorrere al meteo.

Poco importa il veicolo, l’importante per lui è arrivare alla meta in maniera rapida, agile e preferibilmente sostenibile. Oggi sono il 5%, secondo McKinsey, ma fra appena dieci anni saranno l’8% degli utenti della mobilità.

Secondo Edoardo Lozza, professore ordinario presso la Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove insegna Psicologia dei Consumi e del Marketing e Psicologia Economica “sono anni che si notano anche in Italia i segnali di questo trend evolutivo”.

Da cosa sarebbe stato innescata questa trasformazione?
La grande recessione del 2011 ha funzionato da turning point per i consumatori. In quell’epoca iniziano a comparire i primi indizi di una nuova sensibilità ambientale e di un nuovo senso del limite. L’Italia aveva vissuto cinque decenni di sviluppo costante e c’erano aspettative crescenti sul piano economico e, ovviamente, dei consumi. L’idea alla base del pensiero di ognuno era lineare: avremmo consumato ogni anno di più rispetto a quello precedente. Poi la doccia fredda: le permacrisi, da quella economica alla pandemia passando per le tensioni internazionali, hanno funzionato da effetto scatenante di un cambiamento profondo. Stiamo uscendo dalla mentalità del consumo crescente come bisogno. Fino agli anni 90 possedere un’auto ostentativa rappresentava la normalità. Le nuove nicchie di consumatori che stanno nascendo dal 2011 a oggi, invece, non sentono più il possesso della vettura come uno strumento per distinguersi dagli altri ma come una necessità oggettiva che vede l’utilità, la convenienza, la sostenibilità in cima alle scelte di acquisto. In questo modo si spiega lo sviluppo della sharing economy, la propensione ad esplorare nuovi tipi di strumenti per la mobilità che non necessariamente sia l’auto, la perdita di centralità della proprietà, sostituita dalla possibilità d’uso.

Cosa chiede al mercato e ai brand un consumatore di questo tipo e che aspettative ha e avrà nei confronti dei prodotti per la mobilità?
Bisogna innanzitutto comprendere che questo target ha sì a cuore la sostenibilità e tutti gli aspetti legati alla responsabilità sociale, ma la questione non si limita ai temi ecologici. Stiamo assistendo a un’evoluzione di quel target che considerava l’auto uno status symbol. Oggi quei consumatori, diventati urbanisti multimodali, ritengono che la mobilità alternativa rappresenti un modo di distinguersi da un approccio agli spostamenti considerato ormai vecchio e non al passo con i tempi. Per questo motivo, nelle generazioni più giovani, la proprietà dell’auto non fa più presa e sono molti coloro i quali non considerano più la patente di guida fondamentale. Oggi le possibilità di spostarsi dal punto A al punto B sono molto più numerose all’insegna dell’agilità, della velocità e anche della convenienza. Ecco perché si assiste a un’evoluzione del modello che punta alla vendita di servizi di mobilità e non a quella del mezzo di trasporto.

I brand quale linguaggio dovranno assumere per parlare in modo adeguato agli urbanisti multimodali?
Oggi i consumatori giovani sono spesso sospettosi nei confronti di prodotti e servizi che si spacciano per ‘super sostenibili. Con loro il greenwashing non funziona, il bluff è subito scoperto. I codici di comunicazione adottati dai brand della mobilità devono di conseguenza essere adeguatamente tarati su altri elementi: rispetto per l’ambiente di certo ma anche se non soprattutto efficienza, convenienza, facilità di accesso al servizio.

 

contributor
Giornalista professionista da 16 anni trascorsi fra redazioni di quotidiani, agenzie di stampa e Tv. Oggi si occupa di contenuti in Lob Pr+Content

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