Li esperti li chiamano “Perennials”. E il motivo è presto detto: il nome viene dall’idea di contrapporre una buona parte della popolazione ai “millennials”, nati in un certo periodo storico ben identificato, con delle abitudini di vita consolidate legate alla loro età e con delle caratteristiche precise.
I “perennials” invece sono tutti coloro che, a prescindere dalla loro età e dal fatto che invecchiano, ambiscono a mantenere uno stile di vita originario.
“Mentre l’evoluzione demografica delle popolazioni è stata sempre caratterizzata da un cambiamento dello stile di vita, l’idea è che queste persone, sempre più numerose, ne acquisiscono uno e tendono a mantenerlo nel tempo” spiega Gabriele Troilo, Professore del dipartimento di Marketing presso l’Università Bocconi. “Lo mantengono perennemente, appunto, all’interno di un nuovo modo di approcciare la vita: l’età ha sempre meno rilevanza, quello che conta è più come si vive”.
I NUMERI
Ma quanti sono? Tanti, anzi tantissimi. Come evidenzia il report IPSOS Mori Perennials, The Future of Ageing, a livello globale gli ultrasessantenni passeranno dal rappresentare il 13% della popolazione (dato 2017) a contare per il 21% (dato 2050) – un incremento che sarà ancora più marcato in Paesi sviluppati come la Germania (dal 28 al 36%), il Giappone (dal 33 al 42%) e l’Italia (dal 30 al 40%)
E i perennials sono proprio così: sono molto più interessanti dei millennials da questo punto di vista ma il paradosso è che mentre questi ultimi sono sempre sulla bocca di tutti, dei perennials si curano in pochi.
EFFETTO PREVENZIONE E SALUTE
Ecco dunque che questa sezione della nostra società assume un’importanza notevole se considerata nella veste di “consumatore”.
In passato, infatti, l’idea che invecchiando si potessero cambiare gli stili di vita aveva come diretta conseguenza il fatto di pensare che con l’età fosse necessario un reddito sempre inferiore perché si aveva bisogno via via di meno cose.
Oggi è diverso: i Perennials tendono a mantenere lo stesso livello di vita e sacrificare sempre meno le proprie abitudini concentrando le spese principalmente in due aree di business: il benessere fisico, per mantenere le proprie capacità fisiche e psichiche a un buon livello, e il benessere immateriale con il boom di consumi legati alle discipline di mindfulness, al turismo e alle arti (musica, teatro, arte, danza…)
LA TECNOLOGIA
Il tutto con un approccio sempre più avanzato nei confronti della tecnologia, “un ambito di consumi in cui la differenza generazionale non è più così marcata” aggiunge Troilo. “Anzi: il fenomeno crescente del “reverse coaching”, ovvero dei giovani che fanno da insegnanti agli adulti, agevola questo avvicinamento tra generazioni e soprattutto rende i perennials più positivi nei confronti del futuro che appare più facilmente gestibile”.
L'AGEISM, UNA TENDENZA DA SUPERARE
Ma tutto questo si scontra contro una tendenza ancora non superata: l’ageism, ovvero la discriminazione nei confronti dei più anziani (termine coniato già nel 1969 dal gerontologo Robert Butler). “Non si capisce che se un segmento di mercato è grande, in crescita e ha valore è da considerare attrattivo” spiega Troilo. “E i perennials sono proprio così: sono molto più interessanti dei millennials da questo punto di vista ma il paradosso è che mentre questi ultimi sono sempre sulla bocca di tutti, dei perennials si curano in pochi”.
LE ATTESE DEI PERENNIALS
Non è un caso infatti che secondo un recente studio di Campaign Magazine, oltre l’80% di chi lavora nel settore riconosce che il mondo della pubblicità ha un problema di ageism.
E non sorprende che, stando sempre a quanto riportato dal report IPSOS Mori Perennials, oltre quattro persone su cinque (82%) di età superiore ai 55 anni affermi che i propri brand commerciali di riferimento non capiscono più i loro bisogni.
Oltre la metà vorrebbe punti vendita più amichevoli (55%), aperti a persone di tutte le età e “taglie” (54%), in cui sia piacevole trascorrere del tempo (50%).
“A distogliere l’attenzione verso questo target sono due fattori su tutti” taglia corto Troilo. “Il primo è di tipo sociale: chi lavora nel marketing ha un’età mediamente giovane e proietta se stesso sul mercato. Il secondo è di tipo psicologico: il segmento dei giovani viene ritenuto più interessante perché più vivace, ma questo è in realtà solo un pregiudizio”.