L’ultimo in ordine di tempo è stato il colosso Unilever. Ha annunciato l’avvio di un programma di attività dedicate alla creazione di una società “più equa e inclusiva” attraverso il miglioramento degli standard di vita delle persone e delle aziende che operano lungo la propria catena del valore. Il programma consiste in diversi step.
- Offrire alle persone che forniscono beni e servizi all’azienda un salario o reddito adeguato entro il 2030;
- Aiutare 5 milioni di pmi che seguono la linea di business a migliorare i processi produttivi (entro il 2025);
- Investire entro il 2025 circa 2 miliardi di euro all’anno in favore di piccole e medie imprese di proprietà e gestite da donne, minoranze razziali, persone con disabilità e soggetti appartenenti alla comunità LGBTQI;
- Creare nuovi modelli di occupazione per i dipendenti che tengano conto dei valori dell’inclusione;
- Offrire a 10 milioni di giovani entro il 2030 delle competenze di base per la preparazione al mondo del lavoro.
Questo è bastato per attirare intorno ai brand del gruppo nuova attenzione e riconoscenza da parte dei consumatori. Del resto, diversi studi hanno messo in luce che cresce il numero di consumatori che preferiscono brand inclusivi e di imprese che investono in politiche di Diversity&Inclusion.
AL BANDO L’EMARGINAZIONE. SPAZIO ALLA FORMAZIONE
La campagna Unilever è interessante e, come sempre nel caso dei grandi brand, costruita in modo professionale. Arriva finanche ad abolire nella propria comunicazione la parola “normale”. Una scelta coraggiosa, anche se sarà stata sicuramente oggetto di un’attenta valutazione frutto di studi realizzati da Unilever che devono aver evidenziato il cambiamento del pubblico nei confronti del tema: da qui la decisione di evitare termini che possono far sentire escluse ed emarginate alcune persone.
Sulla stessa strada va anche il progetto Aula 162, partito a gennaio, e che vede la collaborazione di P&G con l’associazione NEXT. Si tratta di un intervento di inclusione lavorativa finalizzato a fornire formazione gratuita a persone in difficoltà con l’obiettivo di inserirle in aziende che hanno bisogno di manodopera e spesso non la trovano. Una scelta che, ha dichiarato l’azienda, dà maggiore concretezza al programma di cittadinanza d’impresa “P&G per l’Italia”.
“FARE” E NON SOLO “DIRE”
Non è certo un caso che due colossi del largo consumo come P&G e Unilever abbiano deciso di tornare sul tema dell’inclusione proprio ora. In un periodo in cui crescono le disuguaglianze sociali (anche a causa della pandemia) molte persone chiedono alle imprese di assumere una posizione su importanti temi sociali e ambientali. Continua a crescere l’attenzione all’inserimento in azienda di persone con una diversa abilità e si inizia a considerare positivamente anche l’apertura nei confronti di persone con tradizioni culturali differenti.
In generale i consumatori apprezzano sempre di più le imprese che dimostrano la loro responsabilità sociale con azioni precise. Anche nella comunicazione pubblicitaria, infatti, è necessario abbandonare i messaggi autocelebrativi e privilegiare la narrazione di azioni che testimonino nei fatti come l’organizzazione contribuisce alla crescita della cultura del rispetto dell’altro.
Comunicare infatti non basta: prima di dire bisogna fare. Anche per questo alcune aziende si stanno impegnando per essere effettivamente inclusive: hanno capito che il mercato chiede un cambio di rotta nel modo di gestire l’organizzazione e di governare la relazione con gli stakeholder interni ed esterni.