È naturale, in una situazione congiunturale complessa come quella che stiamo vivendo, porsi delle domande sul ruolo della sostenibilità oggi nella vita dei consumatori: come fare a tenere in piedi un dialogo aperto su questo tema in una fase di mercato difficile in cui le priorità sono spesso altre?
Una cosa è certa: non si può tornare indietro. Da una parte le aziende hanno avviato un percorso di sostenibilità che stanno proseguendo nonostante le difficoltà dovute alla sfavorevole congiuntura economica. Dall’altra, diverse recenti ricerche sostengono che i consumatori piuttosto comprano meno ma preferiscono comprare prodotti sostenibili. È per questo che bisogna continuare in questo lavoro di sensibilizzazione, con l’obiettivo di far diventare la sostenibilità qualcosa di “desiderabile” e non più di “eccezionale”. È necessario arrivare al punto in cui non ci sarà più bisogno che un’istituzione o un’azienda inviti il consumatore ad assumere comportamenti sostenibili per “fare bene al pianeta”, o perché “la crisi climatica è diventata una preoccupazione”, ma perché è diventata una motivazione di benessere personale al punto tale da desiderarla per se stessi, anche al costo di diventare più sobri in quanto sostenibili: scegliere, cioè, di comprare meno perché si acquista solo ciò che serve davvero, non perché si hanno meno soldi a disposizione. Sarà questo, quando avverrà, il vero cambiamento.
LA COMUNICAZIONE AL CENTRO
Il cammino è ancora lungo e guarda soprattutto ai giovani. Molti di loro che frequentano la scuola e le università sono diventati anche paladini di una cultura sostenibile perché sensibilizzati dagli ambienti in cui vivono, ma c’è una grande fascia di indifferenti al tema (soprattutto i NEET, i Not in Education, Employment or Training, ovvero chi non studia né lavora).+
È una visione molto ottimistica, a mio avviso, quella che vede i giovani come i più attenti alla sostenibilità. Sta invece crescendo la consapevolezza nella fascia di età tra i 50 e i 65 anni, laddove si concentra quella parte di popolazione che è la più preoccupata e quindi anche la più disponibile a cambiare stile di vita e consumo. È anche per questo che le aziende devono diversificare la comunicazione per arrivare a target diversi con messaggi diversi: servono sia campagne educative sull’uso dei prodotti destinate a un pubblico più alto, sia campagne che aiutino alla comprensione della necessità di un comportamento sostenibile.
IL CASO DANESE
Lo strumento che consente di tenere alta l’attenzione sul tema è proprio la comunicazione su vari livelli: è necessario lavorare per creare relazioni, attraverso strumenti che consentano di documentare e dunque di ingaggiare sul tema della sostenibilità. C’è bisogno di rendere l’argomento il più possibile vicino ai consumatori, attraverso numeri che rendano il tema concreto e lo facciano sembrare ciò che realmente è: necessario.
Solo così si possono ingaggiare gli italiani: con dati reali, in grado di generare una reazione positiva.
In questo modo, si può tentare di contrastare anche il crescente fenomeno del greenwashing. È vero che aumentando la comunicazione della sostenibilità aumentano anche i casi di “falsi”, ma il tema si sta facendo sempre più serio. La Danimarca, per esempio, ha stabilito per legge che nella comunicazione di prodotto non si potrà più usare un claim di eticità se questo non verrà supportato da un’analisi del ciclo di vita del prodotto che confermi i valori presentati.
È chiaro: la Danimarca presenta un livello di cultura della sostenibilità elevato e ancora molto lontano dal nostro. Ma ci sta mandando un segnale: le cose fanno fatte, raccontate, documentate per poter far capire che gli sforzi che si stanno facendo per un futuro sostenibile hanno davvero risvolti positivi. E salvifici per tutti noi.