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  • 21 Novembre 2024
  • Ultimo aggiornamento 20 Novembre 2024 09:36
  • Milano

Neuromarketing: cos’è e come lo usano le aziende

Misura gli stimoli della comunicazione sui nostri parametri biologici e neurologici. Sempre più usato dai brand, deve essere compreso dai consumatori. Che possono così capire meglio come e perché scelgono un prodotto invece che un altro.

Neuromarketing: cos’è e come lo usano le aziende

Erano gli anni ’70 e negli Usa veniva lanciata la Pepsi Challenge: una campagna promozionale che il noto brand concorrente di Coca Cola aveva lanciato, convinto di avere un prodotto dal gusto migliore.

Un “Blind Test” di massa, che prevedeva un assaggio di un bicchiere di Pepsi e uno di Coca Cola senza che fosse evidente quale fosse l’una o l’altra bibita. Il risultato fu eclatante: nei migliaia di assaggi effettuati, Pepsi risultava, al gusto, la vincitrice in più del 50% dei casi.

VENT'ANNI DOPO

Tuttavia Pepsi era ben lontana dal dominare il mercato, malgrado, a prima vista, i consumatori ne preferissero in maggioranza il gusto.

L’esperimento fu ripetuto oltre vent’anni dopo, sottoponendo a una risonanza magnetica funzionale (fMRI) un campione di consumatori osservato mentre beveva entrambi i prodotti.

I risultati confermarono che più del 50% preferiva, a livello non conscio, il gusto di Pepsi. La risonanza rivelava infatti l’attivazione dell’area del cervello deputata alla decodifica del gusto e l’attivazione era più intensa per Pepsi in più della metà dei casi.

Lo stesso esperimento venne poi ripetuto indicando prima quale bicchiere contenesse Coca Cola e quale Pepsi. In questo caso più del 75% dei consumatori coinvolti dichiarò di preferire il gusto di Coca Cola.

La risonanza rilevava che, insieme all’area del gusto, questa volta si attivava anche l’area del ricordo. In altre parole, il ricordo positivo del brand Coca Cola era in grado, in pochi millisecondi e a livello non conscio, di sovrapporsi alla percezione del gusto.

Molti consumatori dichiaravano così di scegliere il sapore di Coca Cola, senza essere consapevoli di preferire in realtà l’idea positiva del brand, che era immagazzinata nella loro mente.

COS'È

Se alla fine degli anni ’90 applicare le neuroscienze al marketing era un’eccezione, oggi il Neuromarketing ha assunto un ruolo centrale per rafforzare le strategie di comunicazione di molte aziende.

Il termine Neuromarketing, coniato nell’Università di Rotterdam nel 2002, si riferisce a una disciplina relativamente giovane che fonde il marketing tradizionale con le neuroscienze e la psicologia con l’intento di verificare ciò che accade nel cervello delle persone in risposta ad alcuni stimoli relativi a prodotti, marche o pubblicità.

In sostanza, aiuta a comprendere, misurandoli, i meccanismi alla base del decision making quando si tratta di acquisti.

Oggi possiamo applicarlo per capire come il cervello reagisce agli stimoli di comunicazione, di prodotto, di packaging e ci permette di avere nuovi elementi per comprendere come le persone scelgono di comprare un prodotto piuttosto che un altro.

Una consapevolezza utile non solo alle aziende ma anche ai consumatori stessi.

LO STUDIO DELLE EMOZIONI

Come diceva il noto pubblicitario britannico David Ogilvy “i consumatori non pensano a quello che sentono, non dicono quello che pensano e non fanno quello che dicono”.

Non certo perché siano dei bugiardi cronici, ma perché le loro decisioni di acquisto non rispondono solo a dinamiche razionali bensì anche ad impulsi emotivi ed istintivi, frutto dell’attività non conscia del cervello, quella cioè generata da apparati cerebrali che si attivano prima della nostra razionalità e consapevolezza.

Come spiega il neuroscenziato Antonio Damasio, le emozioni assistono al ragionamento, sono le pareti della stanza in cui la nostra razionalità decide.

Il neuromarketing misura questa attività non conscia con l’obiettivo di migliorare l’efficacia della comunicazione e lo fa attraverso strumenti tecnologici di diverso tipo.

I consumatori non pensano a quello che sentono, non dicono quello che pensano e non fanno quello che dicono
David Ogilvy
Pubblicitario

RISONANZA, ELETTROENCEFALOGRAFIA E BIOFEEDBACK

Uno degli strumenti più accurati ma anche più invasivi è la risonanza magnetica funzionale, di cui abbiamo parlato nel caso di Pepsi, anche se molto dispendiosa e non portabile, quindi usata soprattutto a livello di ricerca accademica.

L’elettroencefalografia, che misura l’andamento delle onde cerebrali in risposta a uno stimolo in tempo reale, è molto utile per osservare la risposta non conscia delle persone esposte a spot o campagne pubblicitarie.

Anche i biofeedback, ossia tutti gli indici legati alle nostre risposte fisiologiche, come il battito cardiaco o la conduttanza cutanea, risultano efficaci da utilizzare per misurare l’immediata reazione istintiva a uno stimolo da parte delle persone.

Le emozioni assistono al ragionamento, sono le pareti della stanza in cui la nostra razionalità decide
Antonio Damasio
Neuroscienziato

MISURE MENO INVASIVE

Il Facial coding, invece, analizza tutte le micro espressioni facciali che si fanno nel momento in cui dobbiamo esprimere delle emozioni. È una tecnica di rilevazione utile e che viene sempre più utilizzata, in abbinamento agli altri strumenti.

A livello cognitivo, invece, è interessante analizzare le associazioni implicite che ognuno di noi ha con un brand o un prodotto e di cui consciamente magari non è consapevole: lo IAT, ossia l’Implicit Association Test, è infatti uno strumento che osserva, in base alla velocità di risposta, la profondità e l’immediatezza di determinate associazioni tra elementi, concetti o messaggi anche distanti l’uno dall’altro: una modalità molto efficace per comprendere se i valori di un brand o gli obiettivi di comunicazione vengono davvero colti e compresi dall’audience di riferimento.

Infine l’eye tracker, ossia degli speciali occhiali – sempre più spesso portatili – che consentono di seguire e tracciare i movimenti oculari in risposta a un determinato stimolo, attraverso la misura della direzione dello sguardo e della dilatazione della pupilla.

Si definiscono dunque delle mappe per osservare i percorsi visivi, il tempo e il grado di focalizzazione sui punti specifici di una comunicazione, un layout espositivo o di un sito web.

IL FATTORE IMPREVEDIBILITÀ

Abbiamo scoperto la formula magica per scoprire tutti i perchè delle scelte di consumo? Ovviamente no. La nostra mente è una macchina molto complessa e il processo decisionale è ancora per moltissimi aspetti imprevedibile. Ma il neuromarketing ci sta insegnando molto su come il cervello elabora le informazioni e le decisioni e, di conseguenza, su come possiamo costruire una comunicazione verso i consumatori davvero rilevante, coinvolgente e gradevole. In altre parole, brain friendly.

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ARTICOLO PUBBLICATO NEL GENNAIO DEL 2020 e AGGIORNATO il 20 OTTOBRE 2022

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È fondatore e CEO di OTTOSUNOVE, agenzia di comunicazione indipendente con sede a Torino (Italia) che sviluppa progetti di brand development, in store marketing e retail design, seguendo il cliente lungo tuttoo il suo percorso d’acquisto. È membro del Comitato Esecutivo di CERTAMENTE, la più importante conferenza di neuromarketing in Italia. È inoltre Ambasciatore del Festival Della Crescita, organizzato da Future Concept Lab e content contributor per La Repubblica – Affari e Finanza e per engage.it.

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