La mobilità elettrica è un tema che divide gli automobilisti italiani. Non c’è ancora la convinzione che possa essere una valida soluzione per un reale abbattimento delle emissioni inquinanti e soprattutto costi elevati e mancanza di infrastrutture di ricarica scoraggiano dall’acquisto. Ma non solo. Il fatto che in Italia solo il 4% delle nuove immatricolazioni riguarda auto elettriche nasconde motivazioni molto più radicate nei bisogni reali delle famiglie. Ecco quali sono.
Partiamo dai dati di mercato. Finora nel 2024 in Italia gli acquisti (immatricolazioni) di auto nuove elettriche rappresentano il 4% del totale. Nonostante gli ultimi incentivi, che pure hanno dato una spinta al settore, resta molto ampio lo iato tra intenzioni dei consumatori verso veicoli sostenibili e acquisti effettivamente realizzati. E i dati di Agos Insights lo indicano chiaramente.
Questo dato fa il paio con un altro: contando solo le automobili, nel mondo ci sono 1,3 miliardi di autovetture non elettriche. E stanno aumentando, certo non diminuendo.
Dunque, ci troviamo in un mondo in cui l’acquisto e ancor di più il numero di auto avanza. Ma non in direzione sostenibile.
UTILIZZO CHE FAI, AUTO CHE COMPRI
Il motivo? Per quanto riguarda l’Italia potremmo riassumerlo nell’espressione “Utilizzo che fai, auto che compri”. Siamo sicuri che le auto elettriche oggi rispondano veramente ai bisogni del consumatore italiano medio? La risposta è no. O meglio, solo in parte.
L’auto elettrica, almeno per la maggior parte di consumatori, non è un mezzo che può sostituire l’auto a benzina o diesel posseduta fino a oggi. E la ragione è semplice: non può fare le stesse cose, non può rispondere agli stessi bisogni o almeno questa è la percezione dei potenziali acquirenti
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C’è un perché in Francia e in Germania si vendono più vetture elettriche di quante non se ne vendano in Italia. Ed è un motivo strettamente “tecnico”. L’Italia è un Paese lungo e stretto, non vanta un sistema di connessione tra Nord e Sud particolarmente brillante in termini di trasporti e gli spostamenti in auto tra viaggi di lavoro o di piacere e ricongiungimenti famigliari coprono spesso distanze importanti. E sulle distanze lunghe l’auto elettrica mostra tutti i suoi limiti a partire dalla necessità di ricarica in autostrada ogni 250-300 chilometri, nella migliore delle ipotesi.
Le cose vanno invece molto meglio in ambito urbano e in percorsi non caratterizzati da velocità costanti. Sono diversi i modelli di citycar e utilitarie comode e scattanti e invero neanche troppo costose disponibili sul mercato. Tuttavia, ben difficilmente potranno essere acquistate come unica vettura come invece avviene per le auto ibride, a benzina o diesel, ma anche GPL o metano che rispondono a tutti i bisogni di spostamento. Un’auto non elettrica di dimensioni piccole, anche non nuova, va bene nelle grandi città molto trafficate e nelle non larghe strade dei tanti paesi d’Italia, ma può tranquillamente affrontare un viaggio (molto) lungo, come nel caso delle vacanze. E agli italiani piacciono da sempre, più che nel resto d’Europa, le auto di segmento A e B, appunto di piccole dimensioni.
UN USATO DI MINOR VALORE
Ma c’è anche un altro fattore che frena l’acquisto di auto elettriche: la tenuta del valore dell’usato che nel caso di questo tipo di mezzi è problematica sotto diversi punti di vista.
- Il modello acquistato viene superato in breve tempo da uno nuovo più performante. La tecnologia applicata all’elettrico è in continua evoluzione e questo incide sul valore del mezzo usato più che su altri tipi di alimentazione.
- È probabile che anche il prezzo iniziale delle vetture elettriche nuove scenda nel tempo rendendo svantaggioso l’acquisto e più difficile quindi la vendita di un usato che rischia di costare come il nuovo.
- Le nuove batterie al litio, più performanti delle precedenti, sono garantite otto anni o 160 mila chilometri, valori ben inferiori alla vita utile attesa di autovetture non elettrica.
Questi tre fattori per il consumatore sono un problema.
Da notare che non è certo un caso se in Germania il 10% delle vetture elettriche acquistate e finite, rapidamente, nel mercato dell’usato siano finite in altri Paesi. Come sta avvenendo anche in Italia.
E questi dati spiegano, come indica anche la ricerca, che per i pochi che invece desiderano acquistarne una, poco importa se l’auto elettrica è stata prodotta da una casa automobilistica occidentale o da una cinese. Se costa meno, viene presa maggiormente in considerazione.
IL PESO DELL'EUROPA
Il tema vero è che la strategia europea di decarbonizzazione sta pesando sulle decisioni dell’industria ma non trova risposta sul mercato.
Impone alle case automobilistiche di ridurre le emissioni di anidride carbonica vendendo nel tempo sempre più auto elettriche, pena multe milionarie, con il tetto del 2035 come anno a partire dal quale non si venderanno più auto a emissioni di biossido di carbonio, misurate allo scarico e dunque benzina o diesel, ma anche GPL e metano. E scommette sul fatto che i consumatori europei nel tempo acquistino auto nuove, elettriche, in sostituzione di quelle in uso.
Questo approccio però non sta funzionando. I parchi circolanti continuano a crescere e le poche auto elettriche vendute si aggiungono e non si sostituiscono a quelle in circolazione per i motivi precedentemente esposti.
In Germania (Paese guida per il mercato automotive con 3 milioni di auto nuove vendute ogni anno e un parco circolante di 49 milioni) da gennaio ad agosto 2024 l’immatricolazione di auto elettriche è in flessione del 32%. E le case automobilistiche stanno lanciando un vero e proprio segnale di pericolo chiedendo un posticipo degli obiettivi, altrimenti saranno costrette a pagare le sanzioni con conseguenze importanti su stabilimenti e occupazione.
LA PARTITA DEGLI E-FUEL
E allora, come si esce da quello che appare come un vicolo cieco? Spostando l’attenzione dal mezzo, all’alimentazione del mezzo, ovvero alla decarbonizzazione dei carburanti. Oggi le norme danno spazio solo ai cosiddetti e-fuel o elettrocarburanti – prodotti con sintetizzando CO2 con idrogeno verde – sono molto onerosi da un punto di vista di produzione energetica ma sono potenzialmente una soluzione anche perché possono essere utilizzati su veicoli esistenti, attualmente in circolazione, garantendo le performance di cui i guidatori hanno bisogno.
Oggi la loro produzione costa molto e per questo viene considerata limitata. Ma, per esempio, abbiamo ricevuto un segnale importante: dal 2026 la Formula 1 userà carburanti neutrali. È un’anticipazione di quanto arriverà sul mercato delle auto di uso comune. E maggiori volumi significheranno minori costi.
Vi è poi la questione biocarburanti, disponibili in volumi molto maggiori dei carburanti sintetici, che vede impegnata in prima fila il governo italiano.
Il braccio di ferro dei prossimi anni sarà su quali biocarburanti potranno essere considerati climaticamente neutrali, come gli e-fuel, e quindi garantire l’uso visto anche che possono essere miscelati a quelli esistenti e non hanno bisogno di infrastrutture ad hoc. Una sfida che potrebbe aiutarci a raggiungere una parte degli obiettivi di sostenibilità.