Le stime più aggiornate che vengono dal Report “Le città a impatto climatico zero: strategie e politiche”, elaborato nel 2022 dall’ex Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili (ora Infrastrutture e Trasporti) ci dicono che il trasporto di persone e merci contribuisce per il 25% del totale all’inquinamento atmosferico. Di questo 25%, il 70% viene dal solo trasporto su strada.
In questo senso, la recente norma inserita all’interno del Fit-for-55 da parte della UE che punta a bloccare la vendita di auto endotermiche a partire dal 2035 (e di cui vi abbiamo parlato qui) è corretta, ma il provvedimento deve integrare lo stop con altri aspetti.
È fondamentale che mondo scientifico, delle imprese e dell’amministrazione pubblica si parlino e trovino soluzioni condivise distribuite nel tempo secondo piani di azione che in parte sono già stati definiti negli ultimi anni.
Per raggiungere l’obiettivo dell’Unione Europea di modificare l’attuale sistema di mobilità su gomma con uno centrato sull’elettrico e, quindi, di trasformare l’attuale motorizzazione in direzione di una più sostenibile, occorre proseguire nel programma di realizzazione e integrazione di nuove infrastrutture.
GLI OBIETTIVI
Va detto che se vogliamo arrivare al sistema di decarbonizzazione nel mondo automotive servono obiettivi chiari e progressivi.
In Italia circolano 52 milioni di veicoli (di cui 39 milioni di autovetture) per 60 milioni di abitanti. Il parco veicolare negli ultimi 20 anni è aumentato di 20 milioni di veicoli. Abbiamo il tasso di immatricolazione più alto in Europa dopo il Lussemburgo che però, date le dimensioni ridotte, non può essere utilizzato come benchmark di riferimento.
Il mondo politico deve dunque darsi più obiettivi. Tra questi dovrebbe incentivare nuove immatricolazioni green ma anche ridurre l’attuale parco veicolare vetusto e inquinante (l’età media delle autovetture in Italia è 12 anni), svecchiando e garantendo un rinnovamento con meno autovetture e, soprattutto, più giovani e sostenibili. La stessa cosa potrebbe essere fatta sui mezzi pubblici.
È dunque necessario avere obiettivi che guardino all’Agenda 2030 dell’Onu e tutta una serie di sotto-obiettivi da pianificare nel tempo avendo come termine di paragone le realtà che sono più avanti di noi, come la Danimarca, la Germania, i paesi scandinavi, l’Austria. Alcuni di questi paesi sono riusciti a limitare l’uso e la sosta dell’automobile in città, altri hanno aumentato la quota di veicoli pubblici e privati poco inquinanti perché nel frattempo hanno sviluppato le infrastrutture necessarie, altri ancora hanno perfezionato un eccellente sistema di trasporto pubblico che consente di non utilizzare le vetture per il commuting quotidiano.
Questi pochi e sommari esempi mostrano come la vera rivoluzione sostenibile nella mobilità deve essere fatta attraverso più soluzioni a cui sono chiamati a contribuire tutti i soggetti, pubblici e privati, anche appartenenti al mondo della ricerca.
Agenda 2030 dell’Onu – Obiettivo 11
“Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili”Obiettivo 11.2
“… entro il 2030, garantire a tutti l’accesso a sistemi di trasporto pubblico sicuri, economici, accessibili e sostenibili; migliorare la sicurezza stradale, in particolare espandendo il trasporto pubblico, con attenzione speciale ai bisogni delle persone in situazioni vulnerabili, quali donne, bambini, persone con disabilità e persone anziane…”
IL CONTRIBUTO DELLA TECNOLOGIA
L’Italia ha poi un’ulteriore peculiarità. È un Paese molto disomogeneo, territorialmente parlando, con un’elevata dispersione insediativa che non aiuta a costruire una politica di trasposto pubblico efficiente ed efficace, a differenza di quanto accade in altri Paesi europei di pari importanza, come la Francia, la Spagna o la Germania. È chiaro che la tecnologia potrebbe essere di aiuto, ma anche in questo il nostro Paese non vanta criteri di omogeneità ma sperimentazioni a macchia di leopardo. Ce ne sono per esempio a Bologna, a Torino e a Milano, progetti in cui tra Internet of Things e applicazione di tecnologie integrate, si cerca di sperimentare: si studiano sistemi di comunicazione sui posti disponibili nei parcheggi, sui percorsi, tempi e tasso di riempimento dei veicoli del servizio pubblico, lo sharing elettrico, sistemi di ebike e limitazioni del traffico a vantaggio di mezzi green…
Ma si fatica ancora a creare veri e propri hub intermodali e di interservizio che consentano di far dialogare le diverse tecnologie messe a disposizione.
LA COLLABORAZIONE PUBBLICO-PRIVATO
Questo passaggio è necessario perché è il consumatore a richiederlo dato che tendenzialmente vorrebbe muoversi di più con il trasporto pubblico e con la mobilità attiva (a piedi e in bicicletta), se ne avesse la possibilità che, in molte aree territoriali, manca. È necessario innanzitutto lavorare per offrire servizi alla comunità, e poi poter vantare politiche che vadano nella direzione di disincentivare l’uso dell’auto per tragitti brevi o facilmente percorribili con i mezzi pubblici tra cui la riduzione del numero di parcheggi in città, l’incremento del prezzo per un posto auto o del ticket di ingresso nella zona del centro, il ripristino delle piazze (soprattutto quelle storiche) come luogo di incontro per le persone.
In questo scenario, figure come quella del mobility manager all’interno delle istituzioni e delle aziende iniziano a essere fondamentali. Realizzando piani di spostamento casa-lavoro possono essere di supporto ai progetti di mobilità urbana dei singoli comuni dando un contributo attivo alle politiche di trasporto integrato. È solo così che si potrà migliorare la qualità della mobilità nell’interesse collettivo e rispondere a quanto richiesto dall’Agenda 2030 dell’Onu.