È un legame emotivo forte quello che unisce un’azienda a un consumatore. E come ogni legame forte ha bisogno di qualcosa in più della razionalità a cui ancorarsi. Ha bisogno di fiducia. È così che la reputazione di un brand sta diventando un elemento centrale nelle esperienze di acquisto di oggi e sta assumendo una connotazione nuova. Mentre una volta il rapporto tra consumatore e azienda avveniva prevalentemente attraverso il prodotto, oggi il 60% del giudizio delle persone nei confronti di un’impresa si forma attraverso i canali di comunicazione: giornali, pubblicità o passaparola. È dunque rappresentato da quello che l’azienda fa o racconta tutti i giorni.
LA CENTRALITÀ DEL SOCIAL ROLE
Tutto questo accade perché nel frattempo l’evoluzione dei media digitali ha permesso al consumatore di potersi informare prima e in modo molto dettagliato sulle aziende che, a loro volta messe a nudo, sono costrette a raccontarsi non più solo per ciò che vendono ma per il modo in cui lavorano. È sempre più importante, nel giudizio del consumatore attuale, sapere chi c’è dietro a un prodotto o a un servizio, ovvero quello che in gergo viene definito il “social role”, il contributo più o meno positivo dell’azienda nei confronti della comunità in cui opera, in un’ottica di trasparenza e rispetto dei valori etici.
Ma anche in questo la situazione è diversa rispetto a solo qualche anno fa. Prima il social role era legato a temi come la filantropia e la corporate social responsibility che procedevano paralleli allo sviluppo del business. Oggi invece l’attenzione al sociale deve entrare nel prodotto, non è più solo un supporto alle buone cause, ma è la dimostrazione che il bene o il servizio permette di soddisfare dei bisogni sociali. Se dovessimo pesarlo, infatti, il 66% della reputation aziendale oggi dipenderebbe da elementi “corporate” (visione, performance, responsabilità sociale, trasparenza) e solo il 34% dai prodotti o dai servizi e dall’innovazione.
LA RISPOSTA CHE I GIOVANI SI ASPETTANO
Bisogna inoltre tenere in considerazione il fatto che i millennials e i centennials sono generazioni di consumatori più “valoriali”, con una sensibilità spiccata verso i temi sociali. E le aziende lo hanno capito. Ne sono una dimostrazione la risposta di Ikea al congresso sulle famiglie organizzato a Verona con lo slogan “Famiglia è chi ti fa sentire a casa” o di Coca Cola al gay pride di Milano con la presentazione di una lattina arcobaleno o del gruppo americano Patagonia con la presa di posizione pubblica contro le decisioni dell’amministrazione Trump di ridimensionare le aree verdi tutelate.
Entrare in una dimensione comunitaria, permette alle aziende di dare forza al loro brand e di renderlo più riconoscibile. E questo fa bene anche al business. Sappiamo infatti che anche una semplice campagna istituzionale può ottenere un +10% in termini di propensione all’acquisto.
È importante che le aziende prendano consapevolezza di tutto ciò e si convincano che il prodotto ha esaurito la sua forza propulsiva e fidelizzante mentre il vero punto di forza è ora il carattere del brand. Il consumatore chiede questo, e una reputazione solida consente di trasferire anche nel futuro la credibilità costruita nel passato. Se una crisi tocca prodotti e servizi, passa. Se tocca la dimensione sociale, è difficile che l’azienda riesca a recuperare terreno.